Articolo Luca Sonnino Sorisio su Archipelaghi 30/09/1998

Per presentarvi al meglio il mio amato Sudan e il suo Mar Rosso non voglio farlo con delle mie parole, che potrebbero essere di parte, ma con le parole del mio carissimo amico, Luca Sonnino Sorisio, che sin da ragazzo mi ha accompagnato e sostenuto per tanti anni nell’avventura di questa mia difficile passione, seguendomi nei miei viaggi, sopra e sotto l’acqua perché come me amava questi luoghi e nessuno meglio di lui li ha mai saputi descriverli come in questo suo vecchio articolo qui riportato.

IL SUDAN
www.arcipelaghi.com/felicidad/Sudan_Sonnino.html 30/09/1998 -(purtroppo non più disponibile) Giù nel Mar Rosso nelle foreste di corallo si aprono scenari naturali che creano paesaggi di rara suggestione. Per esplorarli si può partire da Port SudanIl Nilo lo attraversa in tutta sua lunghezza, ma crea un'oasi di verde soltanto a nord e quando soffia l’harmattan, il vento del deserto, anche la Gezira "la più grande farm del mondo", come orgogliosamente i sudanesi chiamano quel fertile milione di ettari di terra alla confluenza dei due rami sorgentiferi del fiume -, scompare in una nuvolo di sabbia e polvere. Il Sudan - il più vasto Paese dell‘Africa con i suoi due milioni e mezzo di chilometri quadrati (ora dal 9 Luglio 2011 diviso in Sudan e Sud Sudan ) offre paesaggi diversi in ragione del suo grande sviluppo latitudinale. Nella parte settentrionale, compresa tra il 22° e il 18° parallelo, quindi in piena regione sahariana, nonostante la presenza del Nilo, l'ambiente è arido, desolato, percorso soltanto da vaghe piste desertiche. La siccità degli ultimi anni ha ulteriormente aggravato la situazione, determinando nel Darfur, nel Deserto Libico e in quello della Nubia carestie di portata biblica. A est, la costa del Mar Rosso è l'unico sbocco verso il mare. Corre per 500 chilometri, ora bassa e sabbiosa, ora invasa da formazioni coralline. La fronteggia un mare di un azzurro intenso, dai mille riflessi secondo la profondità e l'altezza del sole. Un vero e proprio paradiso per i naturalisti e i pescatori subacquei. Peccato che i sudanesi non abbiano con esso troppa confidenza. Anche se le possibilità sono buone, la pesca ha tuttora uno sviluppo quasi trascurabile: i pescatori sono pochi e la praticano singolarmente usando gusci di noce dalle piccole vele fatte di stracci di cotone. Le imbarcazioni con motori fuoribordo restano una rarità. La popolazione è costituita da vari gruppi etnici di religione musulmane da nomadi, come i FusiUzi, che appartengono alla tribù Hadenoa. Sono alti, con lunghi capelli ricci e ispidi, sempre avvolti nei caratteristici mantelli e armati di spada e pugnale. Anche pastori nomadi di altre tribù spaziano in lungo e in largo per questi litorali. Spesso, nell'arida fascia racchiusa tra la costa e l'orlo rialzato, testimone dell'antica spaccatura che ha separato l‘Africa dall'Asia, nei pressi di accampamenti provvisori situati ai bordi delle piste si incontrano bambini e donne rashaida di carnagione bianca, che nascondono il volto dietro il burqa di stoffa scura sontuosamente ricamato di fili d'argento. Difficile è vedere gli uomini: di giorno si allontanano per portare al pascolo il bestiame. Capita anche che gruppi di Tuareg si spingono fin quaggiù, in questa estremità dell'Africa importante per i traffici e i commerci sin dai tempi in cui era in attività il Porto di Suakin.  Fino a cinquant’anni fa Suakin, adagiata fra le immobili acque di una laguna, era il passaggio obbligato delle carovane di pellegrini africani diretti alla Mecca ed era ricca di edifici che si sviluppavano in verticale secondo lo stile della casa turca, divisa in due parti: quella per gli uomini, dove erano trattati gli affari e si ricevevano gli ospiti, e quella per la famiglia, dove invece vivevano moglie e figli. Oggi la città è deserta: è stata uccisa dai coralli e dalle madrepore. La barriera corallina del Mar Rosso è un'unica grande muraglia che salda coste, penisole, isole e scogliere. È spezzata solo dalle pass, i varchi scavati dalle acque per canoe, barche e navi. Nel tratto di mare antistante Suakin i coralli sembrano non aver obbedito alla regola generale secondo la quale essi non crescono dove esiste la pass, e a poco a poco hanno aggredito la città soffocandola: già agli inizi del secolo, solamente i piccoli battelli riuscivano ad entrare nel porto e a costo di manovre complicate. Così, quando nel 1924 il Sudan divenne di fatto una colonia britannica, gli inglesi, temendo che la lotta contro i coralli sarebbe stata inutile, decisero di costruire una nuova città dove le grosse navi di linea, sarebbero potute arrivare senza difficoltà, e abbandonarono Suakin. Con la nascita di Port Sudan, le piste che incanalavano il commercio dell'interno verso il mare si indirizzarono ad essa e Suakin inaridì in pochi anni. Gli abitanti si spostarono nell'entroterra, dove nel Geif, un suburbio cittadino, vivono ancora di pesca e di espedienti circa quattrocentomila persone. Port Sudan, invece, è cresciuta rapidamente: si è sviluppata grazie al collegamento ferroviario con il resto del Paese, e oggi è il principale porto marittimo sudanese e la seconda città dopo Khartoum, la capitale. Vi affluiscono quasi tutti i prodotti d'esportazione e d'importazione, ma non vanta solo strutture industriali. Ce ne sono anche di turistiche per consentire l'esplorazione degli stupendi fondali: durante tutto l'anno è infatti possibile noleggiare barche con prenotazione diretta dall'Italia. Si tratta quasi sempre di golette spaziose, ben attrezzate per l'immersione subacquea. Come si lascia l'ormeggio e si esce dall'insenatura del porto, l'afa e il monotono deserto alle spalle sono subito dimenticati: pesci volanti che spiccano il loro lungo volo da sotto la prua che fende un'acqua incredibilmente turchese, delfini che si affiancano giocosi all'imbarcazione, schizzi e movimenti all'orizzonte, indici di un branco di tonni che attacca un assembramento di sardine, ci calano in un'altra dimensione, in un mondo di novità e sorprese inesauribili.Perché esso ci appaia in tutto il suo incanto, basta mettere una maschera e dare un'occhiata sotto il pelo dell'acqua nei pressi della barriera corallina. L'austriaco Hans Hass, uno dei pionieri delle attività subacquee, nei suoi Abissi inviolati così racconta il primo approccio con questo ambiente nel 1949: "Finalmente riuscii a distinguere le prime forme sul fondo del mare. Quello che vidi rivelarsi da una profondità senza limite mi mozzò il fiato. Il fondale che emergeva da un blu evanescente era molto diverso dai fondali corallini dei mari caraibici. In forma di larghi tavoli c'erano formazioni calcaree intorno alle quali si muovevano alcuni pesci che davano l'impressione di commensare davanti a una tavola imbandita... La quantità delle diverse forme colorate era così grande che mi occorse un po' di tempo per distinguere ogni particolare... Mi riposai un attimo ai piedi di una parete rocciosa scavata in ogni direzione guardai verso l'alto. Centinaia di pesciolini rossi che somigliavano a rubini nuotavano al ritmo delle onde vicino allo scoglio. I raggi del sole passavano come frecce tra di loro. Pesci pappagallo giocavano in mezzo ai coralli, e più lontano, nell’acqua profonda, passava un folto gruppo di pesci verdi con un vistoso corno sulla fronte….. Mi tuffavo su e giù: Avevo scordato completamente il mondo sopra di me. Qualche pesce corallino sembrava essere stato adoperato da Dio come tavolozza. Specialmente nell’acqua bassa c’era una scelta di colori e di forme che avrebbero fatto la gioia di un commerciante di preziosi”. Questa emozione è anche nostra. La varietà e la molteplicità degli animali e delle piante che ci passano sotto gli occhi ha dell'incredibile: una catena perenne di vita e di morte è originata e determinata dal sole che, rendendo caldissime queste acque, e tali conservandole per tutto l'anno, fa sì che la vita subacquea si sviluppi rigogliosa come in una serra attorno alle barriere coralline. Lunghe centinaia di chilometri, esse hanno avuto origine dall'attività biologica di semplicissimi animali marini, gli Antozoi, costituiti da minuscoli polipi capaci di estrarre il carbonato di calcio dall'acqua del mare e di depositarlo sotto forme cristalline come l'aragonite. Migliaia di esseri uguali, l'uno accanto all'altro, hanno ripetuto incessantemente questa operazione dall'inizio alla fine della loro vita: granelli di carbonato di calcio si sono uniti tra loro, si sono saldati, sono aumentati di volume, si sono trasformati in rami, blocchi, stelle, scheletro solido, dimora arborescente di una colonia di milioni di individui costruttori. Se questi meravigliosi edifici sono soltanto opera di celenterati, i loro abitanti, - attinie, crinoiodi, anemoni, oloturie, nudibranchi, ostriche, tridacne, spugne, ricci di mare, pescicani, un'infinità di pesciolini tra i più insoliti e spettacolari- costruiscono una popolazione poliforma e multicolore. Basta pensare che spesso un singolo pesce ha addirittura due livree: una distingue lo stato giovanile, l’altra quello adulto.Il primo incontro con queste fiabesche architetture di corallo può avvenire spostandosi su e giù lungo una parete strapiombante, mentre pesci balestra e pesci pappagallo guizzano intorno e da piccole grotte e anfratti della roccia escono allo scoperto cernie, pomacantidi, acanturidi che trovano in questi angoli il loro rifugio naturale. Mossi dalla curiosità e dalla paura, si sporgono e subito spariscono nei loro nascondigli alcuni Centropyge e Holocentrum. Soltanto i pesci chiodo vincono il loro timore e compiono ampi giri, ma nuotano su un fianco per poter passare inosservati. Se poi si solleva un piccolo blocco di roccia, si rimane stupefatti dal rivestimento policromo della sua faccia nascosta. Spugne, briozoi, alghe: rosso, giallo, bianco e nero sono i colori più frequenti in questo ambiente particolare.Rivolgendo l'attenzione verso il blu del mare aperto si hanno gli spettacoli più emozionanti: enormi branchi di barracuda e carangidi, radunati sui pianori che digradano dolcemente verso il fondo, si mettono a vorticare incuriositi dalle bolle dell'autorespiratore: rincorrendosi e frantumandosi fra le punte, i buchi, i canali e i nodi di madrepore e traforati come pizzi, esse sono l’unico rumore che rompe periodicamente il silenzio della giungla di corallo. Più difficile è incontrare la manta, “il diavolo del Mar Rosso” come la chiamava Hass, che con le grandi ali sembra volteggiare simile a un aquilone. Gli squali, quasi sempre calmi rispettosi, non perdono l’occasione di venire a curiosare da vicino. Se ne incontrano molti, anche potenzialmente pericolosi come il pesce Tigre, a difficilmente attaccano: in queste acqua limpide il cibo è abbondante, non c’è alcun motivo di essere aggressivi. Ma, lo sparo di un fucile subacqueo e la vittima che si dibatte, perdendo sangue, possono eccitarli. Spesso sul fondo blu scuro passano gruppi di pesci martello. Sono diffidenti e se ne stanno alla larga. Incutono paura quando sono di grosse dimensioni, ma in questo stadio sono solitari e assai rari. Innocuo è lo squalo-balena: si nutre di plancton e vederlo è un avvenimento eccezionale. La vita impera ovunque in queste acque, anche tra i resti abbandonati di una nave affollata: nel mare tropicale sembra che non si possa neppure concepire la parola morte. Nel 1963 il comandante Jacques Cousteau aveva intrapreso nel Mar Rosso una serie di studi e di esperimenti sulla possibilità dell'uomo di vivere in profondità. Il programma Precontinente II prevedeva il soggiorno sott'acqua di sette uomini che dovevano verificare la resistenza del fisico umano a lavori prolungati in quelle condizioni. Su una terrazza del passaggio naturale di entrata nell'atollo di Shaab Rumi furono così costruire le strutture necessarie allo scopo: a una decina di metri quella principale, una "casa" subacquea in acciaio larga dieci metri e alta tre in grado di ospitare cinque uomini per un mese, e vicino un garage per il batidisco, il piccolo sottomarino capace di scendere a 350 metri, l'hangar per gli attrezzi e gli scooter, gli acquari per custodire gli animali catturati. Venticinque metri più in basso, un'altra stazione più piccola, adatta per accogliere due uomini per otto giorni. Terminava la prova - che, tra l'altro, ha permesso all'equipaggio di sperimentare curiosi effetti della pressione acquea, come la rapida cicatrizzazione delle ferite o una ridottissima crescita dei capelli - , quegli impianti sono rimasti in fondo al mare, ma non sono vuoti e morti, né ricoperti di alghe: li popolano migliaia e migliaia di pesci.Su un fondale di 40 metri fuori da Port Sudan spuntano ancora dall'acqua i paranchi delle scialuppe della motonave Umbria, fatta calare a picco perché non cadesse in mano nemica. Prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, la nave dirigeva dall'Italia, attraverso il Mar Rosso alla volta dell'Eritrea, portando, oltre a merci varie, anche munizioni, bombe e altro materiale bellico. Il 9 giugno 1940 gli inglesi di Port Sudan la fermarono per un controllo, temporeggiando in attesa dell'inizio delle ostilità per impossessarsi del suo prezioso carico. Il giorno successivo da Addis Abeba una trasmissione radio straordinaria annunciava la dichiarazione di guerra. Immediatamente il comandante Lorenzo Muiesan dava l'ordine di distruggere i documenti riservati e di simulare una normale esercitazione d’abbandono nave, mentre in sala macchine due sabotatori provvedevano a farla affondare. Così l’Umbria andò giù sotto gli occhi degli ufficiali inglese, mentre all’equipaggio si apriva la prospettiva di cinque anni di prigionia.Visitando il relitto, si scoprono ancora bottiglie di vino, spolette per bombe, ampolle di profumo, eppure non si ha una sensazione di morte: il mantello madreporico che lo ricopre, punteggiato da pesci, ostriche, ricci, spugne, cancella l’immagine di materia senza vita. Corrosi da più di quarant’anni di liquida sepoltura, questi resti sono stati prescelti dagli Antozoi come supporto per creare uno stupendo, festoso, monumento sottomarino. In breve diventeranno un elemento stesso della barriera, una delle tante isole che costellano il Mar Rosso, il più ricco di coralli. Sarà l’occasione di un’altra scoperta per chi, dopo noi, vorrà godere di questi spettacoli di straordinaria e unica bellezza.

Luca Sonnino Sorisio

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